mercoledì 2 marzo 2011

Mazel vs Anna

Era la mia migliore amica e io passavo tutto il mio tempo con lei. Aveva lunghi capelli biondi, che sua madre raccoglieva in trecce ordinatissime, e grandi occhi nocciola, dello stesso colore delle piccole lentiggini che le davano quell’aria  sbarazzina da monello di campagna. Era alta e magra e, a quell’età, sembrava già una donna; i vestiti le cadevano addosso come ai manichini delle boutique del centro, anche quando si metteva un maglione preso  a caso perché aveva freddo. Lei era bellissima.

A scuola ero la sua compagna di banco ed ero fiera che avesse scelto me. Tenevamo un diario insieme in cui ci confidavamo i nostri pensieri: scrivevamo una pagina a testa e lo passavamo all’altra perché potesse leggere e rispondere. Aveva una calligrafia piccola e rotonda, con le lettere sempre uguali, e abbelliva spesso la pagina con eleganti disegni, che poi riempiva con le penne colorate. Ne aveva di tutti i tipi e sapeva abbinare i colori così bene che ogni pagina sembrava un’opera d’arte: non mancavano neanche adesivi colorati e campioni di profumo staccati dai giornali. Lei era bravissima in tutto quello che faceva.
I suoi genitori avevano una casa al mare, a Porto San Maurizio, e spesso mi invitavano a passare le vacanze con loro. Mi facevano dormire nella sua stessa stanza, così potevamo rimanere sveglie a chiacchierare fino a tardi. Sua madre ci preparava spesso la torta di mele per colazione e poi tutti insieme ci avviavamo verso il lido più bello del paese. Era tutto così delizioso e perfetto ed io avrei voluto, con tutta me stessa, essere come lei. 

Quell’anno al mare un gruppo di ragazzi ci ronzava intorno. Tutti non avevano occhi che per lei e lei preferiva quello alto e moro, il più bello fra loro. Ne parlava spesso nelle pagine profumate del diario. Uno dei ragazzi, però, si interessava anche a me: mi sedeva accanto quando giocavamo a carte al bar della spiaggia, era gentile ed educato, ed aveva un buon odore. Mi era  anche sembrato di sentire una leggera scossa sotto la pelle una volta che mi aveva sfiorato una mano: forse un po’ mi piaceva e lo scrissi subito nel diario. La sera dopo la trovai in spiaggia, che pomiciava con lui a ridosso degli scogli. All’inizio non li riconobbi , ma quando  capii cosa stava accadendo scappai via in lacrime. Corsi per tutto il lungomare, senza fermarmi mai; poi, quando la milza mi faceva troppo male per continuare, mi sedetti tra le erbacce della spiaggia libera e piansi ancora. Quando non ebbi più lacrime presi il diario e lo scagliai lontano, con tutta la mia forza. Tutti i ritagli, le foto, i ciondoli che erano stati il simbolo della nostra amicizia si sparsero sulla spiaggia, senza più niente che li tenesse insieme.

Il giorno dopo sua madre si accorse che avevamo litigato e ci convinse a fare pace. Venne in camera e mi disse “Scusa. Non sapevo che ti piacesse così tanto” ed io acconsentii a stringerle la mano; dissi: “Amiche come prima”. Andammo insieme a recuperare i pezzi del diario lungo la spiaggia libera: io raccoglievo le foto e la guardavo mentre cercava gli altri ritagli delle riviste. Riconobbi in lei uno sguardo presuntuoso e stizzito mentre era costretta a piegarsi sulle gambe storte, troppo lunghe e troppo magre per sostenerla.

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