domenica 27 febbraio 2011

Mazel vs il Week End

E qui questa...

L'aria venerdì era un po' tesa. Tutti si aspettavano qualcosa  durante il week end e io ho deciso di dare retta solo a me stessa. Sono rimasta Torino e ho lasciato che fossero gli altri a corrermi dietro. Qui i risultati di questa scelta felice.
  • festa di laurea di G. Aperitivo in un locale chic alla Gran Madre. Poco cibo e tanto alcol. Risate. Vecchi amici. Il nuovo ragazzo di M. Risate. Altri amici. Nuova gente. Mohito. Programmi per la settimana. Risate in piazza Vittorio. Risate a casa di M. e G. Musica da schifo al Puddhu. Risate. Il nuovo ragazzo di M. ti offre qualcosa che manco sai cos'è e ti senti vecchissima. Risate. Taxi. Risate da sola sul taxi.
  • Grandi pulizie
  • Grande spesa.
  • Cena e partita. Alex, Marco e la tagliata. Il pub, la partita, la birra. G. che ci raggiunge dopo il lavoro. La Drogheria e i chupiti. Io e Marco.
  • Pigra domenica mattina. Solito giretto in centro delle pallide mattine d'inverno. Risate alla Feltrinelli. Eccelsa performance nel sugo RaddicchioSalsicciaCurry.
  • Sacra di San Michele. Storie losche di frati e architetti medievali. Scalini. Vento gelido. Frati convincenti. Leggende.
  • Castello di Rivoli. Risate alle spalle del povero John Mc Cracken. Stelle di pietra, pozzi senza fondo, circuiti fintamente autoalimentanti. Venere degli stracci e l'arte nascosta in casa mia. Risate ignoranti e divertenti. 
  • Dexter in abbondanza.
Sì, voglio vivere così, col sole in fronte.

venerdì 25 febbraio 2011

Mazel vs i Giveaway


Uahhh io adoro i giveaway anche se non ne ho mai vinto uno.  
Trovo che sia un modo geniale per fare girare un po' la voce su blog carini che si scovano in giro.
Dunque: qui si partecipa a quello organizzato da Navigo a Vista. Se volete date un'occhiatina pure voi!

Mazel vs la Linea tratteggiata

Mi piace l'idea di Marlene e spero non se la prenda a male se gliela prendo in prestito: questo post potrebbe avere questa colonna sonora.

Sono stati giorni di grande concitazione, di grandi soddisfazioni, di grandi agitazione, di grande indecisione, di grandi potenziali cambiamenti e di grandi conferme. Una canzone di Ligabue dice che tira sempre un vento che non cambia niente e che mentre tutto cambia sembra aria di tempesta. Poi dice anche niente paura e quello che più vorrei adesso è qualcuno qui che facesse la parte di Liga.

Sono mesi che faccio di tutto perchè qualcosa cambi, forte delle mie certezze e desideri iniziali. Credevo di volere certe cose e mi sono mossa per averle. Dopo poco ho ricevuto delle offerte per farlo, ma le ho rifiutate. Non ero più certa di volere quelle cose, improvvisamente rivolevo il mio passato.

Ho guardato il mio passato e ho cercato di capire se potessi riaverlo. Potevo. Ho ricevuto delle offerte, ma mi sono spaventata. Erano incompatibili con quello che volevo per il mio futuro che, tra l'altro, avevo appena allontanato. Così ho rifiutato. Ma questo mi ha spezzato il cuore.

Allora ho rivalutato il mio presente. Non era poi così male come credevo all'inizio. Ma qualcosa doveva essere cambiato comunque. Così ho cercato una soluzione di mezzo. Che contemplasse allo stesso tempo il mio futuro e il mio presente. La pratica conosciuta come "tenere un piede in due scarpe". E ho avuto delle offerte.

In genere una persona che vuole qualcosa non la ottiene così facilmente come é accaduto a me ultimamente. Dovrei essere felice. Saltare di gioia. Al momento posso avere tutto quello che voglio. Posso essere chi voglio.

Però da qualche giorno ho un tarlo nella testa. Forse non voglio più il futuro che avevo deciso per me. E questo mi manda in panico. Perché posso fare davvero qualcosa per togliermi dalla strada che ho scelto finora. Sono davanti a una linea tratteggiata in una strada a doppia linea continua. Posso fare una bella inversione a U. Posso anche continuare dritta. Ma non se troverò un'altra possibilità così, ne più avanti né più indietro lungo la mia strada. Quello che vorrei ora è un bel cartello stradale.

martedì 22 febbraio 2011

Ritorno. La strada di casa io la conosco.

Erano già dieci minuti che Vincent era salito su quella carrozza del metrò; raddrizzò la schiena e tese le orecchie in attesa di sentire la voce. Una voce di donna, fredda e gracchiante, fastidiosa all’orecchio dei più: per lui, una voce amica e rassicurante.

Eccola. “Plaisance. Plaisance”. Era il segnale che la voce gli mandava ogni giorno e che lui aspettava attento. Era come un messaggio in codice, solo per lui. Era come se dicesse: ”Vincent, attento. Ora sarai solo, sarai senza di me. Inizia a contare”. E lui obbediva, certo che obbediva.
Quello era il momento più difficile di tutto il viaggio, dove il minimo errore poteva essere fatale.

Doveva contare. Doveva contare fino a tre. Sembrava un’idiozia a dirlo, ma per farlo Vincent metteva tutta la concentrazione che poteva. Una volta si era sbagliato. Il treno si era fermato in galleria e lui aveva contato anche quella fermata; era sceso a Montparnasse senza saperlo ed era entrato in un incubo. Si era trovato in un labirinto sconosciuto e la géndarmerie aveva dovuto riaccompagnarlo a casa, in preda al panico. Un disastro.
Il treno stava ripartendo e lui iniziò a contare.
Stridio di freni e apertura delle porte. Niente voce, come al solito.

Uno.
Una signora gli va a sbattere contro e gli domanda scusa. Lui sorride e torna a concertarsi, che il treno è già ripartito.
Ancora stridio di freni, ma la carrozza è affollata, la gente chiacchiera ad alto volume. Si saranno aperte le porte? Il cuore gli batte forte nel petto. Sì, sì. Si sono aperte. Ha sentito la corrente fredda sul viso. 
Due.
 Ancora stridio di freni e apertura delle porte. Vincent aspetta che il treno riparta, poi tira fuori dalla tasca il suo bastone bianco pieghevole, perché quello è il momento. La gente lo lascia passare, lo guida davanti alla porta di destra. E poi la sente, mentre il treno rallenta. “Duroc, Duroc”.


Sorride. Hanno fatto riparare la voce.




Questo post partecipa al contest di "Io e Nina", L'amore non deve essere un segreto.

lunedì 21 febbraio 2011

Mazel vs il suo stramaledetto capo

Prima di leggere questo post, vi prego di aprire questa canzone in un'altra pagina. Ora siete pronte per capirmi.

Precisiamo una cosa: la scorsa settimana, al lavoro, abbiamo progettato un nuovo strumenti di informazione. Durante la riunione ho proposto due o tre idee che secondo me erano piuttosto interessanti da aggiungere ai contenuti standard. La mia collega apatica ha colto l'occasione per far presente al capo l'incredibile (poi mica tanto) mole di lavoro che queste idee avrebbero comportato. E, dato che lavoro in un italianissimo ente pubblico, il capo ha deciso di soprassedere sulle mie idee, limitandosi al progetto base.

Ora. Il TG1 ha appena passato, come prima notizia, l'idea che avevo avuto io. Ora. La mia collega dolce e carina mi  ha appena inoltrato una mail del capo che dice: visto il tg1? perché non lo facciamo anche noi?

Ora. Mi sento pervasa fino alle viscere della voglia di dare una testata al mio capo domani mattina, subito dopo il caffé alla macchinetta.

Forse il curriculum lo dovrei mandare pure al TG1.

Mazel vs un weekend a Budapest aka come arrivare stremate al lavoro il lunedì mattina

Day 1
E se il buongiorno si vede dal mattino, quando sabato scorso siamo saliti sul volo Malpensa-Budapest delle 7,20 eravamo ormai pronti ad aspettarci di tutto dal week end.  Alla nostra partenza da casa, verso le 4,30, avevamo avuto la sciagurata idea di prendere il navigatore e di seguirlo come automi nelle sue indicazioni folli, con il risultato di ritrovarci un'ora prima della partenza dell'aereo su una sterrata a fondo cieco sulle tracce delle belve di satana. Nonostante questo, grazie a una corsa in aeroporto in stile Mamma ho perso l'aereo, riusciamo - già stremati - a prendere posto e a concederci una mezz'oretta di sonno.
E' stato sicuramente il viaggio meno organizzato della mia vita. Al nostro arrivo a Budapest cambiamo 100 euro al cambio dell'aeroporto senza sapere né come si chiamasse la moneta ungherese né - peggio ancora - quanto valesse; tra l'altro ci accorgiamo che nessuno aveva controllato il modo migliore per raggiungere l'hotel, né si era informato su dove fosse localizzato esattamente, né quanti aeroporti ci fossero in città. Ma, sprezzanti del pericolo, decidiamo di seguire la massa di turisti e ci infiliamo su un autobus e poi su un metrò senza capire una sola acca di tutti i cartelli in ungherese che ci circondano. E - c.v.d. vorrei dire -  troviamo l'hotel Matyas molto più facilmente di quando studiamo il percorso mesi prima, valutando tutte le variabili e le incognite.
A prima vista l'hotel sembra un po' inquietante. Almeno a me, perché pare che Marco non si sia affatto stupito di entrare nell'atrio di una chiesa e poi in un cortile e poi nel retro di un'associazione non meglio identificata che emanava uno strano odore di cipolle bruciate alle 10 del mattino. Però alla fine non era affatto male e la camera era del tutto in linea con un qualsiasi altro tre stelle al mondo. E, tra l'altro, il nostro caro Matyas vanta  una posizione centralissima, sul Danubio e su Vaci Ucta, quindi sticazzi le cipolle del vicino, lasciatemelo dire!
A questo punto della storia sono circa le 11, siamo svegli da 7 ore e partiamo alla scoperta di Buda. Innanzitutto ci terrei a precisare una cosa: a Budapest lo scorso week end tirava un vento indescrivibile. Incommensurabilmente freddo. Un tormento. Una punizione divina. Ma noi siamo determinati, pronti a tutto. La nostra missione è visitare la città in meno di 48 ore e niente ci potrà fermare. 
Così, imperterriti, attraversiamo il Ponte delle Catene alla volta di piazza Clark Adam (nessuno aveva avuto il tempo di leggere la guida, quindi attualmente non so dire con certezza chi fosse l'amico Clark) e della funicolare che ci porta in cima alla collina di Buda. La vista da lassù è bellissima. Ci fermiamo qualche minuto a fotografare le schiere di ponti sospesi sul Danubio e il Parlamento, un edificio davvero imponente che sorge sull'altra riva, poi ci dedichiamo a passeggiare in cerca del lato assolato della strada.
La tranquillità pervade l'aria, la stessa di quando ti svegli presto la domenica mattina e vai a comprare le brioches nell'unico bar aperto. Poco traffico, negozi chiusi, gente in bicicletta che pedala piano. Qualche turista qua e là fa un po' di caciara, ma sarà colpa dell'aria gelida e serena. Non sappiamo esattamente dove andare, ma passeggiamo mano nella mano anche noi, sbirciando dalle finestre e stupendoci dell'aria anni '90 che le macchine parcheggiate conferiscono a tutta la scena.
Ci fermiamo a gironzolare tra le guglie del Bastione dei pescatori, a osservare il tetto della chiesa lì accanto e poi decidiamo di andare a perderci dentro al Labirinto di cunicoli scavanti nel sottosuolo della collina, dove hanno disseminato una serie di installazioni piuttosto interessanti.
Dopo pranzo scendiamo a piedi dalla collina e ci addentriamo in Pest. Seguiamo un gruppo di spagnoli che ci porta davanti alla cattedrale e passeggiamo per le vie del centro.
Quell'atmosfera di tranquillità che ci aveva colpito al mattino inizia a trasformarsi in desolazione: molti negozi sono chiusi da tempo, le vetrine di quelli aperti sono impolverate e spoglie e alcune sono anche diventate il ripostiglio di alcuni senzatetto. Siamo in pieno centro in un sabato pomeriggio di saldi, ma si stenta a trovare qualche pedone.
La nostra meta é Andrassy ut, un viale alberato che è stato nominato patrimonio mondiale dell'Unesco. Se posso aprire una parentesi,vorrei dire che non capisco proprio il perchè di questa scelta, trattandosi di un viale - certo, gradevolissimo - assolutamente normale che vorrebbe tanto essere gli Champs Elysées ma mi sa che gli tocca essere corso Vittorio a Torino. Ma tant'é; l'Andrassy è una meraviglia del mondo e corso Vittorio s'attacca. Prendiamo la metro per due fermate e ci rendiamo conto che in Ungheria non sanno ancora cosa sono i tornelli (@Ministro Brunetta: io mediterei su un esportazione di massa): ad ogni ingresso due persone controllano a vista che ogni passeggero timbri il suo biglietto. Chiediamo a uno di questi signori in tutte le lingue conosciute un aiuto per fare i biglietti e, come sempre, la lingua dei gesti vince su tutte; prendiamo il nostro treno e scendiamo alla fermata della casa del Terrore.
Si tratta di un museo davvero ben studiato in commemorazione delle vittime del regime nazista e sovietico; pur conoscendo solo a grandi linee la storia ungherese, le installazioni sono davvero molto incisive e toccanti. Peccato solo per la scarsa presenza della spiegazione in inglese; nonostante questo, io vi consiglio vivamente la visita.
All’uscita percorriamo a piedi tutto Andrassy Ut, dove le vetrine delle grandi boutique europee attiravano qualche curioso ungherese e ci reinseriamo nelle vie pedonali dello shopping più a buon mercato delle grandi catene: Vaci Ucta ci riporta con la memoria alle vie centrali di ciascuna delle capitali visitate ultimamente.
La stanchezza ci attanaglia e, tornati in hotel, cediamo al desiderio di dormire un paio d'ore, col risultato di svegliarci alle 8 non capendo che ora fosse. Scegliamo di cenare nel ristorante interno all'hotel, il Matyas Pince, dove servono piatti tipici e fanno musica dal vivo; ovviamente cediamo alla tentazione di fare un paio di foto in notturna sul Danubio, così ci troviamo a camminare un altro po' nella notte gelata, prima di stramazzare a letto.

Day 2
Al risveglio non sento più le gambe. Penso alla lunga giornata di fronte a me e mi sento male. Faccio giurare a Marco di muoverci soltanto coi mezzi e acconsento a lasciare l'hotel. Facciamo colazione in una catena di caffetterie e con gesti lenti ci viziamo con tutto quello che serve per iniziare una lunga giornata. Io adoro le lunghe e lente colazioni. 
Ci prendiamo il tempo di entrare in un supermercato vicino, a osservare gli ungheresi che fanno la spesa. Vorremmo comprare un salame, ma l'idea di portarlo con noi tutto il giorno ci inquieta.....Magari anche no, eh?
La prima meta della giornata è la Sinagoga, dove riusciamo ad aggregarci al volo al tour in italiano. Una guida davvero preparata ci spiega l'architettura del più grande centro di culto ebraico al mondo dopo quello di New York, ci illustra la vita nel ghetto, ci racconta gli avvenimenti tragici della seconda guerra mondiale e ci commuove con i monumenti commemorativi che sorgono nel parco retrostante. All'uscita gironzoliamo senza meta nel quartiere ebraico e ci ritroviamo, come al solito, in Vaci Ucta dove mangiamo in uno strano fast food di pesce nordico, dove un sms mi annuncia la nascita della piccola Elena. 
Nel pomeriggio cerchiamo di visitare il mercato coperto che sorge in fondo a Vaci Ucta, ma è domenica ed è chiuso, così prendiamo la metro fino a Nyugati e, vinti dal freddo, ci infiliamo nel più grande centro commerciale dell'Est Europa per un'oretta a dare un'occhiata a negozi del tutto identici a quelli dei nostri centri commerciali. Poi ci facciamo coraggio e passeggiamo fino all'isola Margherita, un'isola felice dove svolgere tutti gli sport possibili e immaginabili nel centro della capitale.
Ma il freddo ci impedisce di stare fuori a lungo, così con un po' di anticipo ci ri-dirigiamo all'aeroporto e salutiamo questa bella e malinconica città, che un po' vorrebbe essere Praga e un po' vorrebbe essere Parigi, ma che ha un fascino tutto suo, nascosto dietro i suoi palazzi un po' decadenti.







giovedì 17 febbraio 2011

Mazel vs la Musica


Amo sentire la musica in ufficio. Proporre canzoni, risvegliare ricordi, far capire chi ero alle persone che mi stanno intorno in periodi scanditi dall'uscita dei singoli.


Tu cosa facevi quando è uscita questa? Io ero in piena crisi adolescenziale. Ero appena stata lasciata dal mio ragazzo. Cambia, è troppo deprimente, non si può sentire.
E questa? Sono stata al concerto. La cantavo la settimana dopo aver preso la patente.
Quando c'era quest'altra, immancabilmente subito dopo partiva la televendita dei Miracle Blade. Era ora di andare a lezione.

giovedì 10 febbraio 2011

Mazel vs un Normale Pomeriggio di Terrore

Martedì pomeriggio Mazel è uscita prima dall’ufficio ed é andata a Milano ad assaggiare l’Altra Potenziale Vita.
Mentre lei se ne stava chiusa in una saletta riunioni a chiacchierare con due professioniste dell’editoria sulle potenzialità dei social network nel campo della comunicazione dei prodotti editoriali, nel suo ufficio di Torino avvenivano cose strane.

La sua collega ombrosa e ultimamente priva di stimoli lavorativi se ne stava ad osservare lo schermo senza scopo; nel frattempo, la collega dolce e efficiente si dava da fare per organizzare il prossimo progetto e ha chiesto la sua opinione su alcune modifiche da fare sulla versione 2011. Voci ufficiose dicono che la prima, in preda alla frustrazione, all’apatia e alla noia, abbia afferrato uno volume e abbia iniziato a gridare tutta la sua rabbia e la sua insoddisfazione, per concludere l’azione con un lancio del suddetto volume contro la seconda, prontamente riparata dietro la lavagna. Nel frattempo il capo era impegnato a valutare i due nuovi stagisti: il Giamaicano e la Spilungona.

Pare che Mazel si sia persa una dei pomeriggi più interessanti degli ultimi mesi.

martedì 8 febbraio 2011

Mazel vs I Pomeriggi Importanti della Vita

Me lo voglio ricordare così. Come un tramonto rosso contro i vetri di un palazzone di design  dopo una giornata primaverile. 
Pavoni, oche e laghetti tutto intorno.  Gente elegante, impegnata, importante, inserita, esperta, sicura di sé, mediamente stressata, mediamente ricca, mediamente arrivata, un po' bobo. Mi sono mescolata tra di loro, nessuno ha fatto caso a me. Ero una di loro, con i miei tacchi, la mia messinpiega, la mia borsa di lusso e l'aria di avere fretta, di avere un motivo per stare lì. 
Sono arrivata dalla parte secondaria, ho chiesto informazioni e nessuno si è stupito che io ci volessi andare. Ho preso un caffé al bar interno, mi sono accomodata sul divanetto, ho chiacchierato di vendite dei periodici e di gestione delle copertine con due affermate manager. Mi hanno chiesto la mia opinione. Mi hanno voluta tra di loro.
Oggi mi sono affacciata nell'altra mia vita. Ho messo la testa tra le porte del treno di sliding doors e poi l'ho tirata indietro. Mi è piaciuta per quell'attimo. Però forse si sta meglio di qua.

domenica 6 febbraio 2011

Mazel vs le cose da Cosmogirls

Piazza Vittorio, ore 22. Mazel e la sua amica M. se ne stanno fuori da un locale e sbirciano l'interno dalla vetrina. Qualche giorno prima M. aveva scritto su facebook  una frase un po' sibillina, che più o meno diceva così: "Mazel, dobbiamo andare al locale X. Capirai da sola".
Mazel, in quel locale, ci era stata qualche sera prima e ricordava con estremo piacere un barista moro belloeimpossibile che le aveva servito da bere. Sul momento aveva pensato che l'alcol le avesse fatto qualche strano effetto, ma, conoscendo la M., non poteva riferirsi ad altro e, par conséquent, il barista era bello davvero.
Dopo quattro chiacchiere si scopre che il barista puntato da Mazel e quello puntato da M. non coincidevano, ma tanto non c'è l'ombra né dell'uno né dell'altro. Al bancone c'è, però, quello che chiameremo il Barista-terzo che, guarda caso, piace alla coinquilina di M., Silvia, che è casa a preparare un esame. Mazel e M. si siedono, ordinano un caffé e scrivono un sms a Silvia, così, per prenderla un po' in giro sulla sfiga mondiale che la colpisce. 
A quel punto succede qualcosa di inaspettato. Silvia chiama M. e la prega di lasciare un biglietto al Barista-terzo con il suo numero di telefono. Forse fa sul serio, perché una volta aveva passato un'intera serata appoggiata a un bancone a guardare un tizio con occhi da pesce, appoggiando il mento sul palmo della mano su cui aveva scritto il proprio numero di telefono. Che a fine serata si era rivelato sbagliato.
M. prepara un bigliettino e, al primo passaggio del barista-terzo, lo ferma:
-ciao, un'amica che stasera non c'è vorrebbe conoscerti. chiamala.
ottima  interpretazione da femme fatale, non c'è che dire. Messaggio di missione compiuta a Silvia e la serata continua. Dopo una decina di minuti una tizia si presenta al tavolo e fa a M.:
-sei tu che gli hai lasciato il numero?
Oddio. Ecco la fidanzata gelosa, che ora prenderà M. per i capelli senza lasciarla proferire parola. Mazel dovrà aiutarla, ma a quel punto salterà fuori che la fidanzata fa parte di una banda di assassini e Mazel e M. dovranno entrare in un programma testimoni.
- sono la proprietaria del locale.
Oddio. Verranno cacciate dal loro tavolo e denunciate alle autorità competenti per molestie sessuali su un luogo di lavoro.
- mi dispiace cara, ma è gay.
Oddio. Ora i gay hanno persino qualcuno che cura le loro pubbliche relazioni con l'altro sesso.