lunedì 21 febbraio 2011

Mazel vs un weekend a Budapest aka come arrivare stremate al lavoro il lunedì mattina

Day 1
E se il buongiorno si vede dal mattino, quando sabato scorso siamo saliti sul volo Malpensa-Budapest delle 7,20 eravamo ormai pronti ad aspettarci di tutto dal week end.  Alla nostra partenza da casa, verso le 4,30, avevamo avuto la sciagurata idea di prendere il navigatore e di seguirlo come automi nelle sue indicazioni folli, con il risultato di ritrovarci un'ora prima della partenza dell'aereo su una sterrata a fondo cieco sulle tracce delle belve di satana. Nonostante questo, grazie a una corsa in aeroporto in stile Mamma ho perso l'aereo, riusciamo - già stremati - a prendere posto e a concederci una mezz'oretta di sonno.
E' stato sicuramente il viaggio meno organizzato della mia vita. Al nostro arrivo a Budapest cambiamo 100 euro al cambio dell'aeroporto senza sapere né come si chiamasse la moneta ungherese né - peggio ancora - quanto valesse; tra l'altro ci accorgiamo che nessuno aveva controllato il modo migliore per raggiungere l'hotel, né si era informato su dove fosse localizzato esattamente, né quanti aeroporti ci fossero in città. Ma, sprezzanti del pericolo, decidiamo di seguire la massa di turisti e ci infiliamo su un autobus e poi su un metrò senza capire una sola acca di tutti i cartelli in ungherese che ci circondano. E - c.v.d. vorrei dire -  troviamo l'hotel Matyas molto più facilmente di quando studiamo il percorso mesi prima, valutando tutte le variabili e le incognite.
A prima vista l'hotel sembra un po' inquietante. Almeno a me, perché pare che Marco non si sia affatto stupito di entrare nell'atrio di una chiesa e poi in un cortile e poi nel retro di un'associazione non meglio identificata che emanava uno strano odore di cipolle bruciate alle 10 del mattino. Però alla fine non era affatto male e la camera era del tutto in linea con un qualsiasi altro tre stelle al mondo. E, tra l'altro, il nostro caro Matyas vanta  una posizione centralissima, sul Danubio e su Vaci Ucta, quindi sticazzi le cipolle del vicino, lasciatemelo dire!
A questo punto della storia sono circa le 11, siamo svegli da 7 ore e partiamo alla scoperta di Buda. Innanzitutto ci terrei a precisare una cosa: a Budapest lo scorso week end tirava un vento indescrivibile. Incommensurabilmente freddo. Un tormento. Una punizione divina. Ma noi siamo determinati, pronti a tutto. La nostra missione è visitare la città in meno di 48 ore e niente ci potrà fermare. 
Così, imperterriti, attraversiamo il Ponte delle Catene alla volta di piazza Clark Adam (nessuno aveva avuto il tempo di leggere la guida, quindi attualmente non so dire con certezza chi fosse l'amico Clark) e della funicolare che ci porta in cima alla collina di Buda. La vista da lassù è bellissima. Ci fermiamo qualche minuto a fotografare le schiere di ponti sospesi sul Danubio e il Parlamento, un edificio davvero imponente che sorge sull'altra riva, poi ci dedichiamo a passeggiare in cerca del lato assolato della strada.
La tranquillità pervade l'aria, la stessa di quando ti svegli presto la domenica mattina e vai a comprare le brioches nell'unico bar aperto. Poco traffico, negozi chiusi, gente in bicicletta che pedala piano. Qualche turista qua e là fa un po' di caciara, ma sarà colpa dell'aria gelida e serena. Non sappiamo esattamente dove andare, ma passeggiamo mano nella mano anche noi, sbirciando dalle finestre e stupendoci dell'aria anni '90 che le macchine parcheggiate conferiscono a tutta la scena.
Ci fermiamo a gironzolare tra le guglie del Bastione dei pescatori, a osservare il tetto della chiesa lì accanto e poi decidiamo di andare a perderci dentro al Labirinto di cunicoli scavanti nel sottosuolo della collina, dove hanno disseminato una serie di installazioni piuttosto interessanti.
Dopo pranzo scendiamo a piedi dalla collina e ci addentriamo in Pest. Seguiamo un gruppo di spagnoli che ci porta davanti alla cattedrale e passeggiamo per le vie del centro.
Quell'atmosfera di tranquillità che ci aveva colpito al mattino inizia a trasformarsi in desolazione: molti negozi sono chiusi da tempo, le vetrine di quelli aperti sono impolverate e spoglie e alcune sono anche diventate il ripostiglio di alcuni senzatetto. Siamo in pieno centro in un sabato pomeriggio di saldi, ma si stenta a trovare qualche pedone.
La nostra meta é Andrassy ut, un viale alberato che è stato nominato patrimonio mondiale dell'Unesco. Se posso aprire una parentesi,vorrei dire che non capisco proprio il perchè di questa scelta, trattandosi di un viale - certo, gradevolissimo - assolutamente normale che vorrebbe tanto essere gli Champs Elysées ma mi sa che gli tocca essere corso Vittorio a Torino. Ma tant'é; l'Andrassy è una meraviglia del mondo e corso Vittorio s'attacca. Prendiamo la metro per due fermate e ci rendiamo conto che in Ungheria non sanno ancora cosa sono i tornelli (@Ministro Brunetta: io mediterei su un esportazione di massa): ad ogni ingresso due persone controllano a vista che ogni passeggero timbri il suo biglietto. Chiediamo a uno di questi signori in tutte le lingue conosciute un aiuto per fare i biglietti e, come sempre, la lingua dei gesti vince su tutte; prendiamo il nostro treno e scendiamo alla fermata della casa del Terrore.
Si tratta di un museo davvero ben studiato in commemorazione delle vittime del regime nazista e sovietico; pur conoscendo solo a grandi linee la storia ungherese, le installazioni sono davvero molto incisive e toccanti. Peccato solo per la scarsa presenza della spiegazione in inglese; nonostante questo, io vi consiglio vivamente la visita.
All’uscita percorriamo a piedi tutto Andrassy Ut, dove le vetrine delle grandi boutique europee attiravano qualche curioso ungherese e ci reinseriamo nelle vie pedonali dello shopping più a buon mercato delle grandi catene: Vaci Ucta ci riporta con la memoria alle vie centrali di ciascuna delle capitali visitate ultimamente.
La stanchezza ci attanaglia e, tornati in hotel, cediamo al desiderio di dormire un paio d'ore, col risultato di svegliarci alle 8 non capendo che ora fosse. Scegliamo di cenare nel ristorante interno all'hotel, il Matyas Pince, dove servono piatti tipici e fanno musica dal vivo; ovviamente cediamo alla tentazione di fare un paio di foto in notturna sul Danubio, così ci troviamo a camminare un altro po' nella notte gelata, prima di stramazzare a letto.

Day 2
Al risveglio non sento più le gambe. Penso alla lunga giornata di fronte a me e mi sento male. Faccio giurare a Marco di muoverci soltanto coi mezzi e acconsento a lasciare l'hotel. Facciamo colazione in una catena di caffetterie e con gesti lenti ci viziamo con tutto quello che serve per iniziare una lunga giornata. Io adoro le lunghe e lente colazioni. 
Ci prendiamo il tempo di entrare in un supermercato vicino, a osservare gli ungheresi che fanno la spesa. Vorremmo comprare un salame, ma l'idea di portarlo con noi tutto il giorno ci inquieta.....Magari anche no, eh?
La prima meta della giornata è la Sinagoga, dove riusciamo ad aggregarci al volo al tour in italiano. Una guida davvero preparata ci spiega l'architettura del più grande centro di culto ebraico al mondo dopo quello di New York, ci illustra la vita nel ghetto, ci racconta gli avvenimenti tragici della seconda guerra mondiale e ci commuove con i monumenti commemorativi che sorgono nel parco retrostante. All'uscita gironzoliamo senza meta nel quartiere ebraico e ci ritroviamo, come al solito, in Vaci Ucta dove mangiamo in uno strano fast food di pesce nordico, dove un sms mi annuncia la nascita della piccola Elena. 
Nel pomeriggio cerchiamo di visitare il mercato coperto che sorge in fondo a Vaci Ucta, ma è domenica ed è chiuso, così prendiamo la metro fino a Nyugati e, vinti dal freddo, ci infiliamo nel più grande centro commerciale dell'Est Europa per un'oretta a dare un'occhiata a negozi del tutto identici a quelli dei nostri centri commerciali. Poi ci facciamo coraggio e passeggiamo fino all'isola Margherita, un'isola felice dove svolgere tutti gli sport possibili e immaginabili nel centro della capitale.
Ma il freddo ci impedisce di stare fuori a lungo, così con un po' di anticipo ci ri-dirigiamo all'aeroporto e salutiamo questa bella e malinconica città, che un po' vorrebbe essere Praga e un po' vorrebbe essere Parigi, ma che ha un fascino tutto suo, nascosto dietro i suoi palazzi un po' decadenti.







1 commento:

  1. Vorrei segnalare il sottotitolo che Turisti per Caso ha scelto per il mio diario di viaggio: "fascino malinconico: un po' Praga e un po' Parigi". Trovo che sia un'ottima sintesi di quello che pensavo.

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