lunedì 31 gennaio 2011

Mazel vs quel che rimane di Dublino

Di Dublino ti rimane nel naso l’odore del cibo, che ti cattura per strada a qualsiasi ora. E’ strano, sa come  di stufato con patate, o salsiccia. L’odore delle chicken wings di Elephant & Castle. L’odore del negozio di fish&chips, che dovrebbe essere il migliore della città, ma a te sembra tanto la rosticceria- kebabberia che sta all’angolo e hai sempre snobbato. L’odore del malto esposto alla Guinness StoreHouse e quello della birra scura, che lì al secondo piano ti insegnano ad apprezzare.

Di Dublino ti rimane il silenzio pacifico della sala d’attesa del Number 29, dove la gente aspetta tranquilla  il proprio turno, seduta intorno a gentili tavoli azzurri con sopra un mazzolino di fiori di campo. Intanto fuori il tempo si fa sempre più scuro e grigio, ma tu puoi prendere una tazza di tè, aspettando che un gentleman di chiami per mostrarti come in quella casa vittoriana non mancasse nulla di quello che abbiamo oggi.

Di Dublino ti rimane in faccia il pallido sole di Howth, in un tranquillo sabato pomeriggio a passeggio su un molo del nord Europa. Le famiglie si siedono sui muretti delle aiuole, mangiando pesce fritto e gelati; forse quella è loro Liguria, ma sembra che in quel pezzo di mare nuoti qualche foca. Torni indietro al porto, ti perdi tra le viuzze della collina e vedi un pezzo d’Irlanda diversa, tra ville di lusso con i vetri sporchi aggrappate alle rocce e ristoranti di pesce chiusi. Sarà la stagione, sarà la crisi.


Di Dublino ti rimane addosso la pioggia e ancora oggi, dopo qualche mese dal mio viaggio, sento ancora i pantaloni zuppi che si ghiacciano sulla tua pelle. A Dublino vendono appositi ombrelli rinforzati contro il vento, che  all’arrivo in aeroporto guardi in mano alle altre persone con stupore ma che impari presto a desiderare una volta in strada. I Dubliners però non sembrano farci molto caso e se ne vanno in giro  indecisi, col cappotto e i sandali, in maniche corte di notte o impellicciati fino al naso in una mattina di pallido sole.
Cammini per le strade della zona del Trinity College, a testa bassa per soffiare aria calda nella sciarpa e speri di arrivare presto ovunque tu stia andando. Poi arrivi a Temple Bar, gremita di ragazze con gonne così corte da farti sentire i brividi di freddo, di gente in maschera perché è Halloween. E tu ti chiedi come possano sopravvivere con la sola tuta di Superman addosso.
- Magari entriamo in un pub...
-Eh, magari sì. Quello lì verdino con i fiori e le bandiere non sembra male. Ma non è quello della brochure in aereo?
E’ proprio quello, si chiama Gogarty. Dentro la gente si stringe, perché l’atmosfera è calda. Il musicista che suona dal vivo accontenta soprattutto i turisti,  che possono ripassare la discografia degli U2 e dei  Cranberries. Tu ti siedi ad una tavolo che sei riuscito ad accaparrarti, ordini birra scherzando col barista e finalmente senti il ghiaccio che ti ricopre sciogliersi. Non vorresti più andartene e non perché fuori fa freddo,  ma perché lì hai trovato quello che ti aspettavi dall’Irlanda.

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